Caronte"
Quello il nocchiero, Caronte; questi, che l´onda trasporta, i sepolti.
Ma non è concesso oltrepassare le terribili rive e le roche
correnti, prima che le ossa abbian riposato nei sepolcri.
Vagano per cento anni e volano attorno a questi lidi:
poi finalmente ammessi rivedono gli stagni desiderati." (Virgilio,
Eneide, VI, vv. 326-330)
Dal greco
Χάρων (
charon)=ferocia illuminata
Figlio di Erebo e Notte, Caronte era il traghettatore dell’Ade: il suo compito era di trasportare oltre il fiume Acheronte (sebbene Virgilio parli anche dello Stige) quei defunti i cui corpi avevano ricevuto i dovuti onori funebri; in caso contrario le anime erano costrette a vagare per le nebbie del fiume per cento anni. Era tradizione mettere sotto la lingua del cadavere una moneta con la quale l’anima avrebbe pagato il suo passaggio.
A volte il dio Ermes prendeva il posto di Caronte in qualità di psicopompo.
Tra i suoi illustri
colleghi ci sono l’egiziano
Anubi e l’etrusco Charun.
Flegias"Corda non pinse mai da sé saetta
che sì corresse via per l'aere snella,
com'io vidi una nave piccioletta
venir per l'acqua verso noi in quella,
sotto 'l governo d'un sol galeoto,
che gridava: «Or se' giunta, anima fella!».
«Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto»,
disse lo mio segnore «a questa volta:
più non ci avrai che sol passando il loto».
Qual è colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
fecesi Flegïàs ne l'ira accolta."
Dante Alighieri,
Divina Commedia,
Inferno, VIII, 13-24
Dal greco:
Φλεγύας(
phlegyas). Il nome richiama le parole
phlego (gr.) e
flagro (lat.), che possono essere tradotte entrambe con “incendio”.
Figlio di Ares e Crise, fu re dei Lapiti. Nella
Divina Commedia fa da traghettatore per Dante e Virgilio.
Nel tentativo di vendicare la propria figlia Coronide, prima messa incinta da Apollo (partorirà Asclepio) e poi uccisa da Artemide su ordine dello stesso dio, il sovrano tentò di incendiare il tempio della divinità a Delfi. Con ciò si attirò le ire del dio che, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro condannandolo alla pena di aver un macigno sulla testa per l’eternità.
Nell’
Eneide Flegias ammonisce tutti e testimonia a voce alta: “
Il mio esempio vi insegni ad essere giusti;/ a non disprezzare gli dei!" (VI, 764-765)
Compare nell’VIII canto dell’
Inferno: Dante lo pone nel girone degli iracondi e degli accidiosi (Flegias appartiene alla prima classe). Incontrati Dante e Virgilio, il defunto re li trasporta con il suo traghetto oltre le paludi dello Stige. L’autore fiorentino non specifica però quale sia il vero
lavoro di Flegias: possiamo verosimilmente immaginare che Flegias sia colui che si occupa di trasportare gli iracondi per poi gettarli nel centro della palude.
Gustave Doré,
Caronte (Inferno, Canto III).
Olexandr Lytovchenko,
Caronte.
Gustave Doré,
Flegias (Canto VIII).
Flegias (Vetrata ottocentesca del Museo milanese Poldi Pezzoli)